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mercoledì 21 maggio 2008

MEDITAZIONE

Ti offendi
se ti dico
che il mondo appare ai miei occhi
informe
dolorante
incompiuto?
No,
se invece di una ribellione infeconda
e di un’amarezza mediocre
assumo la mia parte divina
di co-creatore
e faccio la mia parte
per completare il mondo.
Dom H. Camara

mercoledì 14 maggio 2008

Domenica 18 maggio 2008

Domenica della Santissima Trinità – Anno A
Salmo responsoriale (Dn 3,52-56)
A te la lode e la gloria nei secoli!
Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.
Benedetto il tuo nome glorioso e santo.
Benedetto sei tu nel tuo tempio santo glorioso.
Benedetto sei tu sul trono del tuo regno.
Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi e siedi sui cherubini.
Benedetto sei tu nel firmamento del cielo.
Vangelo: Gv 3,16-18
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio".
La festa del Padre
Dio è Padre d’ogni consolazione, fonte del bene, amore gratuito. Di fronte alla fatica dell’uomo per trovare la vera felicità, ha dato il Figlio perché potessimo ribaltare su quell’uomo tutta la nostra rabbia, la nostra fame di potere, d’importanza, anche d’amore, e riceverne solo del bene. Quell’uomo era Dio, ed è morto perché non abbiamo saputo riconoscere che ci portava il bene che non muore, la capacità di perdonare e di rendere il bene per il male, la possibilità di diventare figli del Padre. Con la sua morte ha dimostrato la straordinaria potenza della Vita che è in Dio, quella Vita che lo ha fatto risorgere, senza l’ombra di un rimprovero per chi lo aveva messo a morte e nemmeno per noi.
“Mio padre ci ha lasciati quando avevo quattro anni, ora ha scelto d’essere transessuale”. “Mia madre mi ha sempre rifiutata”. “I miei genitori mi hanno abbandonato alla nascita”. Dio, perfetto Padre, non ci tradisce mai e addirittura si fida di noi. I genitori spesso inquieti per le scelte dei figli, dimostrano di non credere nel bene che hanno immesso in loro mediante l’affetto, l’educazione e la testimonianza. Dio invece sa che siamo in grado di vincere il male con il bene che infonde in noi, e suscita sulla strada di chi è stato troppo ferito dalla vita, la persona, la situazione, la parola che lo avvierà verso una rinascita. Dio non ha un progetto, non interviene, ma “si china sui figli dell’uomo, per vedere se c’è un uomo saggio” (Sal 52,3), che da quelle vicende di disperazione sappia far nascere un bene maggiore.
“Quando un tossicodipendente sceglie volontariamente di entrare in comunità – diceva un prete amico della gente di strada – compie il primo passo verso Dio, verso la riconciliazione con la Vita. Forse non andrà oltre, forse non entrerà mai in una chiesa, ma è già in cammino verso il Padre che lo ama”. Tuttavia, per entrare in comunità, bisogna che qualcuno abbia iniziato ad aprire una casa per accogliere chi stava sulla strada. Il Padre non decide nulla ma accende il nostro cuore. C’è chi ha l’orecchio e il cuore abbastanza sensibili da cogliere l’amore del Padre per il ragazzo abbandonato, per entrare nella dialettica del perdono anche nei confronti del genitore che lo ha rovinato. Allora un po’ del mondo viene salvato, una persona entra nella festa del Padre.
Em.Marie
Quale Dio?
«E se ci fossimo sbagliati noi, donpi? Se davvero Dio avesse il volto severo che mi hanno insegnato da giovane? E se davvero la Chiesa fosse solo una grande e macilenta organizzazione reazionaria e retrograda arroccata sulle proprie posizioni che non accetta cambiamenti? E se il primato dell'essere e del divenire sull'agire e sulla morale fosse una scappatoia lassista?»
Va giù pesante, Laura. Mi ha telefonato invitandomi a cena, dicendomi che, però, doveva prima parlarmi da sola, senza suo marito. Li conosco da anni, sono stati miei parrocchiani, hanno fatto un bel percorso di fede, hanno investito tempo e idee nella pastorale. Non è, il suo, lo sfogo dell'adolescente delusa, ma la riflessione pacata e sofferta della donna adulta.
Sorrido, cercando di dirle le parole giuste. Tutto è nato dall'incontro fortuito con un sacerdote che lavora a Roma, e che lei ha conosciuto qualche anno fa', incontro avvenuto di ritorno da una gita scolastica a Parigi, in treno. Hanno toccato vari argomenti, tra cui alcune situazioni delicate di cui entrambi sono a conoscenza. È rimasta turbata, Laura, perché ha trovato solo giudizi impietosi, analisi feroci, assenza di misericordia, curiosità prurigginosa. Turbata e scossa nel profondo, stupita per l'apparente cambiamento di una persona che aveva conosciuta e stimata, il colloquio ha avuto un effetto domino. Il suo ragionamento non fa una grinza: quando tutti ti dicono il contrario di ciò che pensavi, forse sei tu ad esserti sbagliata... Osservazione tutt'altro che ingenua, anzi.
Lassismo
Peggio: in settimana ricevo una mail da una lettrice cinquantenne che lamenta oratori chiusi e preti in crisi, conclude che non ci sono più certezze e che noi preti rischiamo di omologarci alla mentalità di questo mondo. Vero, le rispondo, ma forse la ragione profonda è che la Chiesa deve ripensarsi dal di dentro, ripartendo dall'essenziale, preti e laici insieme, con onestà. Urge invocare lo Spirito.
Il misericordioso
La Parola di oggi sembra dare un incoraggiamento a Laura e un'indicazione a tutti noi. Mosè è sfinito: dopo mille vicissitudini ha abbandonato la sua patria e la sua condizione di principe per fuggire nel deserto, deluso da sé e dal popolo cui scopre di appartenere. Agli ebrei non piace avere un condottiero che dall'alto della sua fortuna liberi il popolo. Masticato dalla delusione, Mosè è chiamato da Dio a liberare (e daje!) il suo popolo. Nel deserto, combattuto dalla contingenza e dalla testardaggine mugugnante del suo popolo, Mosè è tentato molte volte di abbandonare l'impresa. Davanti all'ennesima delusione sale a parlamentare con Dio. E Dio appare e si svela, si racconta, si presenta.
«Il Signore Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es. 34, 6), ecco chi è il Dio di Israele.
Dio è colui che usa misericordia, che guarda alla nostra miseria col cuore, che ha pietas, cioè tenerezza e comprensione gratuita, verso di noi, che ha un mare di pazienza ed è tenace nell'amore. il Dio di cui Mosè e il popolo fanno esperienza è il Dio che si accorge del dolore, che interviene, attraverso Mosè, che si racconta. Egli è il misericordioso.
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Paolo, scrivendo a Corinto, ammonisce la comunità: per fare esperienza del Dio di Gesù, per essere riempiti del suo amore e della sua pace, per fare esperienza di misericordia occorre usare misericordia, vivere incoraggiandosi e dando il meglio di sé, dimorare nella gioia dello Spirito. Ancora una volta la Parola ci scuote: siamo chiamati a fare esperienza di Dio per trasmetterla con la nostra presenza. Possiamo fare esperienza di Dio solo se disarmiamo il nostro cuore dagli atteggiamenti di violenza e di prevaricazione, fossero anche legati a legittimi sentimenti religiosi.
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Gesù è venuto per dire definitivamente chi è Dio, per dirci la verità su di lui e su di noi, per manifestare la verità delle cose che riguardano Dio. E oggi, nella splendida pagina del dialogo con Nicodemo, Gesù dice una cosa straordinaria: il Padre desidera che ci salviamo, ha mandato il suo Figlio per questo scopo, Dio non desidera la nostra condanna, non è un preside severo che ci aspetta al varco, mai! Gesù morirà in croce per svelare questo volto splendido di Dio!
La festa di oggi medita il mistero del Dio di Gesù, un Dio che è comunione profonda, Trinità. Dio non è il solitario perfetto, l'incommensurabile, l'onnipotente – certo - ma solitario Motore Immobile (il sommo egoista bastante a se stesso?).
Dio è festa, famiglia, comunione, danza, relazione, dono. Dio è tre persone che si amano talmente, che se la intendono così bene che noi – da fuori – ne vediamo solo uno. Abbiamo una così triste opinione di Dio! La Scrittura ci annuncia che Dio è una festa ben riuscita, una comunione perfetta. Che bello vedere realizzato in Dio ciò che noi da sempre desideriamo: tre persone che non si confondono, che non si annullano in un'indefinita energia cosmica, ma che, nella loro specificità, operano con intesa assoluta.
A immagine
A questa comunione siamo invitati come singoli e come comunità cristiana. È alla Trinità che dobbiamo guardare nel progetto di costruzione delle nostre comunità: la Chiesa (quella sognata da Dio, intendo, non lo sgorbio presente nelle nostre menti, fatta di rigidezze e sovrastrutture) è lo spazio pubblicitario della Trinità nel mondo d'oggi. Guardando alla Chiesa l'uomo si accorge di essere capace di comunione. Uniti nella diversità, nel rispetto l'uno dell'altro, nell'amore semplice, concreto, benevolo, facciamo diventare il nostro essere Chiesa splendore di questo inatteso Dio comunione. Dio è Trinità perché impariamo ad amare perché mai, soprattutto nella Chiesa, venga a mancare la misericordia e la tenerezza, perché sempre il nostro linguaggio sia riempito di tenerezza e di bene, perché il nostro giudizio sul mondo sia come quello di Cristo, folle d'amore e di desiderio di salvezza.
don P. Curtaz