Tu, che ne dici?
Gv 8, 1-11
Gv 8, 1-11
“Mosè ci ha comandato di lapidare le donne adultere, tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. L’accusato dunque, non è tanto la donna, quanto Gesù stesso. Chi accusa è sempre dalla parte di Satana, che in ebraico significa appunto l’accusatore, mentre lo Spirito Santo, quello di Cristo, è invece l’avvocato difensore, in greco il Paraclito. Non a caso l’evangelista dice che Gesù ha appena trascorso la notte sul monte degli Ulivi, al Getsemani, “l’orto dell’olio”, dove il Salvatore patirà la sua agonia. L’ulivo – simbolo di pace – produce l’olio, figura dello Spirito, balsamo di perdono che risana le piaghe delle colpe: “Ricevete lo Spirito Santo – dirà il Risorto - ; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv 20,22-23).
Spesso l’uomo vive nella paura dello sguardo altrui, in un’atmosfera di accusa che genera intollerabili sensi di colpa. Come uscirne se non ribaltando su un altro la responsabilità, fingendo così di esserne immune? Occorre allora trovare un capro espiatorio, spesso una persona troppo debole per rilanciare apertamente a sua volta la colpa su altri. E’ l’origine di tutte le violenze.
In questo vangelo la donna adultera entra in questo ruolo; Gesù invece rompe il meccanismo, ribaltandone la logica: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Si pone dunque dalla parte dell’accusata e invita gli accusatori a entrare anche loro nella dimensione della misericordia. Non accusa nessuno, anzi, scrivendo per terra non guarda i loro volti, disinnescando così la paura dello sguardo altrui; li lascia andare via tutti. Ognuno sceglierà la sua strada: restare sotto l’occhio impaurito della propria coscienza o entrare nella luce della misericordia.
“Nessuno ti ha condannata? Neanch’io ti condanno, và e non peccare più”. Non giudica, ma rimanda ciascuno alla propria libertà. I peccati, come i segni che Gesù traccia nella sabbia, sono cancellabili con il perdono. “Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio” (Gc 2,13).
E’ facile puntare il dito, anche su chi oggettivamente ha compiuto il male. Ma a che serve? In Africa si dice che chi punta l’indice si deve ricordare che tre delle sue dita sono rivolte verso di lui.
E.Marie
Spesso l’uomo vive nella paura dello sguardo altrui, in un’atmosfera di accusa che genera intollerabili sensi di colpa. Come uscirne se non ribaltando su un altro la responsabilità, fingendo così di esserne immune? Occorre allora trovare un capro espiatorio, spesso una persona troppo debole per rilanciare apertamente a sua volta la colpa su altri. E’ l’origine di tutte le violenze.
In questo vangelo la donna adultera entra in questo ruolo; Gesù invece rompe il meccanismo, ribaltandone la logica: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Si pone dunque dalla parte dell’accusata e invita gli accusatori a entrare anche loro nella dimensione della misericordia. Non accusa nessuno, anzi, scrivendo per terra non guarda i loro volti, disinnescando così la paura dello sguardo altrui; li lascia andare via tutti. Ognuno sceglierà la sua strada: restare sotto l’occhio impaurito della propria coscienza o entrare nella luce della misericordia.
“Nessuno ti ha condannata? Neanch’io ti condanno, và e non peccare più”. Non giudica, ma rimanda ciascuno alla propria libertà. I peccati, come i segni che Gesù traccia nella sabbia, sono cancellabili con il perdono. “Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio” (Gc 2,13).
E’ facile puntare il dito, anche su chi oggettivamente ha compiuto il male. Ma a che serve? In Africa si dice che chi punta l’indice si deve ricordare che tre delle sue dita sono rivolte verso di lui.
E.Marie