Quaresima: lasciarci
raggiungere (Paolo Curtaz)
Rieccoci in quaresima. Deposte le
maschere, quelle carnevalizie e quelle, molto più difficili da togliere, che la
vita o l’abitudine ci fanno indossare, ci è proposto, come ogni anno, un tempo
di essenzialità per preparaci alla Pasqua, per permettere alla nostra anima di
raggiungerci, per verificare la nostra vita.
Quaranta giorni, un decimo del nostro
anno in cui cercheremo, con semplicità, di ascoltare la nostra sete, per vedere
se siamo ancora (e quanto) pellegrini, viandanti, cercatori. E, per farlo,
abbiamo bisogno di deserto, di qualche attimo strappato al caos, di silenzio
interiore da ritagliare nelle nostre frenetiche giornate senza capo né coda.
Quaranta giorni per tornare liberi,
finalmente. Non per farci giri di testa o per sforzarci di porre qualche
piccolo gesto, ma per respirare a pieni polmoni la primavera che tarda ad
arrivare, per seguire Gesù nel deserto….
Tre i suggerimenti dal passato per vivere con pienezza la nostra ascesi, il nostro allenamento.
Il primo è
percepire la fame: fame di Parola, di senso, di
autenticità. Un cuore sazio non si percepisce con autenticità, ecco allora la
proposta del digiuno. Digiuno simbolico, dalla TV, dalla fretta, ma anche
digiuno autentico dall’eccesso di cibo che, ricordiamocelo, appesantisce il
nostro ciclo energetico. Un digiuno per qualcosa, però. Spegnere il televisore
per giocare con mio figlio, rinunciare al filetto per aiutare un povero,
digiunare dal pettegolezzo per guardare agli altri con lo sguardo di Dio.
La seconda strada proposta è quella
della preghiera. Una preghiera fatta soprattutto di
ascolto, più che di richiesta. È questo il tempo di leggere la Parola, tutti i
giorni, dieci minuti, con calma. Invocare lo Spirito prima, mettersi una posizione
che aiuti la concentrazione, staccare il telefono e leggere la Parola, magari
quella della domenica.
Leggerla con
calma, assaporandola, lasciandola scendere nel cuore, senza fretta. Riscoprire,
magari, se la famiglia è cristiana, la benedizione del cibo tutti insieme,
prima di mettersi a tavola. Un gesto semplice che ci richiama alla dimensione
della gratuità e della bontà di Dio e di ciò che riceviamo da lui.
Infine la terza dimensione, quella
dell’elemosina. Elemosina che non significa dare del
superfluo, ma spalancare il cuore ai bisogni degli altri, una fede che diventa
concretezza. Perché non dedicare un po’ di tempo ad andare a trovare la vecchia
zia che non vediamo mai? Perché non rinunciare a qualcosa per aiutare i nostri
fratelli che (sul serio) muoiono di fame? Allargare il proprio cuore agli altri
diventa un gesto che dentro di noi produce un cambiamento, diventando davvero
figli della pace. Buona Quaresima, cercatori di Dio, lasciamo che lo Spirito ci
spinga nel deserto.