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venerdì 18 gennaio 2008


20 gennaio 2008
II Domenica del tempo ordinario A

Prima lettura

Dal libro del profeta Isaia (Is 49,3.5-6)

Il Signore mi ha detto: "Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria". Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: "È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra".

Salmo responsoriale (Salmo 40)
Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto
né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: "Ecco, io vengo".
"Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo".
Ho annunziato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.

Vangelo: Gv 1,29-34
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: "Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me". Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele". Giovanni testimoniò dicendo: "Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". E io ho visto e testimoniato che questi è il Figlio di Dio".

Colui che toglie il peccato
Emmanuelle-Marie
"Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo", ripetiamo con le parole di Giovanni Battista ad ogni liturgia eucaristica, pur reiterando quotidianamente la triste esperienza delle nostre colpe. Quale peccato ci viene dunque tolto? In che modo Cristo toglie il peccato del mondo? Certo non con effetti speciali che si sostituirebbero alla nostra libertà, ma consegnandoci il suo Spirito.
Il Battista afferma di aver visto scendere lo Spirito sul Signore, come una colomba. Ed è proprio una colomba che, riportando un ramo d’ulivo, segna la fine del diluvio, causato dalla violenza del peccato. Colomba e ulivo sono due immagini bibliche simili: la prima ricorda lo Spirito che, alla creazione, aleggiava sulle acque per farne uscire la vita, mentre l’ulivo fornisce l’olio, simbolo dello Spirito, che si versava sull’eletto per consacrarlo al Signore. Il battesimo del Signore sintetizza queste realtà in modo stupendo: Gesù inizia una nuova creazione ed è l’Unto del Signore che viene a ristabilire la pace tra Dio e l’umanità. Viene a immergere l’umanità nello Spirito, che è insieme creatore di vita nuova e Paraclito – cioè difensore del peccatore, perdono del Padre – perché possiamo diventare a nostra volta capaci di perdono.
Perdonare, infatti, è togliere veramente il peccato, è scegliere di prendere su di sé le conseguenze del male commesso da un altro, è pagare i debiti altrui, accettando magari di attraversare l’angoscia che l’altro rifiutava di vivere.
Quando Gesù va a farsi battezzare da Giovanni, non fa notizia, è uno tra i tanti che scende nelle acque del Giordano. Come sempre permette all’ultimo di riconoscersi in lui e di trovare nel suo agire una strada che possa condurlo alla liberazione. Gesù è l’agnello, mite, umile, pronto a patire ciò che noi abbiamo rifiutato di attraversare. Egli toglie il peccato del mondo perché accoglie ogni ingiustizia come espressione del dolore di chi la infligge, accettando di prendere su di sé questa sofferenza. Gesù insegna che non si può amare senza sporcarsi le mani con il male dell’altro, senza condividere il disagio che ha provocato l’azione negativa. Questa è la salvezza portata dall’amore, la via nuova aperta da Cristo e realmente capace di cambiare tutto.

Dio ci viene incontro
don Paolo Curtaz
Gesù è nato in noi, piccolo neonato da far crescere ed accudire, come Maria e Giuseppe lo abbiamo accolto, come i pastori, emarginati del tempo, abbiamo udito la notizia che egli è nato per noi, come i Magi, atei cercatori di verità, ci siamo messi in cammino. Ora, finita la breve e intensa parentesi di Natale, vogliamo far crescere quel Battesimo che abbiamo ricevuto e che ci ha permesso di essere abitati dal Mistero di Dio. Prima di riprendere la riflessione del pubblicano Levi, ci concediamo una parentesi teologica tratta da Giovanni. E' l'occasione per meditare sulla splendida figura del Battista, che ora si mette da parte, non prima di avere dato un'ultima bruciante testimonianza sullo sposo che ha atteso e riconosciuto. Il Messia venuto Giovanni Battista vede Gesù "venire verso di lui" (1,29): è Dio che prende l'iniziativa, è lui che viene incontro, è lui che muove i primi passi, sempre. Eppure il Battista stenta a ri-conoscerlo. Sono parenti, lui e Gesù, e quindi Giovanni lo conosce, ma lo vede con occhi diversi, consueti, abituali, il segno del Battesimo lo spinge a capire, lo obbliga a riconoscere il figlio bene-amato, nel quale il Padre si compiace; anzi: questo riconoscimento permane, come abbiamo visto nella terza di Avvento, quando il Battista in carcere è invitato a non scoraggiarsi, a non aspettare un altro Messia. Il problema del Battista è il nostro: guardare senza vedere, sapere già, essere abituati. Giovanni deve aguzzare lo sguardo interiore per riconoscere nella banalità del quotidiano la presenza del Messia. É questa la radice del problema, di ogni problema: la dimenticanza, l'abitudine, la compagnia di Cristo che diventa sbadiglio e vaga rassicurazione. Non pensate allo scorso anno, a due anni fa, non pensate ad un momento passato: oggi Cristo ti viene incontro, con discrezione (al solito), con semplicità e verità. Abitudinari della fede, discepoli della prima ora, state desti, per favore, siate attenti, Dio vi scampi dal rischio del professionismo nella fede. Questo Dio che passa va riconosciuto ed accolto, ciò che ci viene chiesto è, semplicemente, di accoglierlo. Chi è Gesù? Tre titoli vengono attribuiti a Gesù, tre sintesi di un cammino semplice e strepitoso fatto da chi scrive, Giovanni l'evangelista, discepolo prima del Battista e poi del Nazareno, e dalla sua comunità. Gesù è l'agnello di Dio che porta il peso del peccato (1,29), colui su cui rimane lo Spirito e battezza in Spirito (1,33), il Figlio stesso di Dio (1,34). Sono titoli teologici che possiamo scoprire nella nostra ricerca di Dio. Gesù è l'agnello che porta il peccato, come quello usato nello Yom Kippur, giorno di purificazione del popolo che scarica le sue colpe sul capro immolato in sacrificio per tutti, immagine prefigurata in Isaia del mite agnello condotto al macello. Rispetto alla tragedia dell'umanità, all'inquietante dilemma del male e della violenza, Dio si schiera, si esprime, si coinvolge: egli è colui che si lascia uccidere, che assume su di sé sofferenza e tenebra, che la redime, portandola. Giovanni resterà turbato dal vedere il Messia mischiato tra la folla di penitenti. Dio condivide e assume su di sé tutta l'oscurità e la fragilità del mondo, si sporca le mani, non guarda dall'alto, redime dal basso. Il dolore del mondo è assunto, salvato, redento. Non è vero che vogliamo capire la ragione del dolore, ciò che vogliamo è non soffrire oppure, ed è ciò che Dio fa accadere, redimere questo dolore, dargli un peso, un'utilità. Amico che soffri, amico travolto dalla tenebra, la tua tenebra è portata, accolta, salvata. Egli è colui che dona lo Spirito in abbondanza; lo Spirito: dono del Risorto, colui che permette al discepolo di accorgersi di Dio, che lo mette in sintonia. Fede che non è sforzo ma scoperta, non conquista ma abbandono, lasciando che lo Spirito che dà vita ad ogni cosa ci apra – finalmente! – lo sguardo dentro. L'incontro con Dio non migliora né peggiora la mia vita, non mi mette al riparo da fatica e contraddizione, gli eventi tristi e allegri si alternano come nella vita di chiunque. Ma la presenza dello Spirito mi permette di vedere in maniera diversa, di cogliere il disegno, di percepire la tessitura nascosta. Il Signore dona lo Spirito senza lesinare, permette, ai discepoli che restano attenti e aperti alla Parola, di leggere la propria e l'altrui storia con uno sguardo nuovo. Egli è, infine, il "figlio di Dio"; non un grande uomo, non un profeta, non un uomo di tenerezza e compassione, ma la presenza stessa di Dio. Non c'è mediazione su questo, non sofismi e ragionamenti: la comunità primitiva crede che Gesù di Nazareth, potente in parole ed opere, non sia solo ispirato da Dio, ma parli con le parole stesse di Dio poiché in lui abita la presenza stessa del Verbo di Dio. Dio è accessibile, amici, visibile, chiaro, manifesto, incontrabile, evidente; si racconta, si spiega, si dice, si rivela. Lo accoglieremo? O continueremo ad accarezzare e celebrare un Dio più approssimativo e simile alle nostre segrete immagini di lui? Testimoni Questo è ciò in cui crede la comunità di Giovanni. Così come Isaia sogna la comunità di Israele non più chiusa in se stessa intenta a proteggersi, ma aperta all'annuncio del vero volto di Dio alle nazioni straniere, così come Paolo augura ai cristiani di Corinto, città delirante e violenta, di essere santi perché santificati da Cristo, anche noi siamo chiamati a dare testimonianza al Figlio di Dio. Non più stanche comunità che stentano ad assolvere i compiti istituzionali, ma gruppi di cristiani riempiti dalla luce, testimoni credibili come il Battista e il suo discepolo Giovanni. Bel programmino, no?

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Il ministero di Giovanni ha le sue radici nell’AT, ma permane nel NT perché è il ministero profetico essenziale della preparazione all’incontro col Signore e pertanto non può venir meno. Finché un uomo deve incontrare Gesù portando con sé tutto ciò che precede il Cristo, Giovanni Battista è essenziale. Tutto ciò che precede il Cristo: culture, religioni, ricerche spirituali dell’umanità, ha un grande valore ed è in intima connessione con la Parola di Dio...; ma nella misura in cui si avvicina alla Parola di Dio, se manca del ministero di Giovanni, diventa il più grande nemico per Cristo. (...) C’è un legame tra il ministero di Giovanni e il ministero di Israele nella storia, anche se il ministero di Giovanni trascende Israele, perché Israele è restato muto e sordo di fronte all’evento di Cristo, mentre Giovanni l’ha preparato, accolto e riconosciuto. Nella misura in cui Israele resta in attesa e continua la sua attesa in un mondo in cui regnano ancora le guerre, il male, la malattia, la morte e il peccato, esso attesta alla chiesa che il Regno non è ancora venuto
(E. Bianchi, Magnificat, Benedictus, Nunc dimittis, 68-9).

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Gesù si fa battezzare come qualsiasi uomo sulla Terra non per lavare il proprio peccato, ma per manifestarsi come il Cristo, cioè il compimento del mandato profetico di Giovanni il Battista. Qui comincia a cambiare radicalmente anche la sua vita. La sensazione è quella di essere spronati a riconoscere il Signore in mezzo a noi, a sentirlo presente, a sentirne la vicinanza e la chiamata. Nella scelta di Dio di incarnarsi c’è una promessa di fedeltà, c’è il riconoscimento della qualità umana come strumento per realizzare la salvezza e il disegno di Dio. Per fare questo "è troppo poco che tu sia mio servo". Dopo la risurrezione Gesù dirà a Pietro: "Pasci le mie pecorelle", a testimoniare che la vita di Gesù è il tratto cruciale di un processo di salvezza che viene da lontano (cfr. Isaia) e che deve proseguire, in un lavoro instancabile e insostituibile che spetta alla volontà degli uomini. Il "compimento" dato da Gesù non è la fine della strada degli uomini. Is 49,6 ci fa pensare che il ruolo di "luce delle nazioni" potrebbe essere quello della Chiesa, attraverso l’apertura alle novità, la propria continua rilettura in un’ottica di rinnovamento della propria "luminosità", ovvero della capacità di indicare una strada di salvezza alle nazioni; per questo ci pare che la missione di riconciliazione sia sempre vera, ma prenda temi e strumenti diversi nel corso della storia. A volte abbiamo più l’impressione che si punti alla conservazione invece che alla conversione, ma al di là del seguito di fedeli c’è un problema di vocazione della Chiesa stessa. Come riconciliare i popoli relativamente al valore dell’uomo e della vita civile, ai modelli di società, ai modelli di economia?
(Gruppo OPG).

Le nostre domande:
Perdonare: cosa intendo io per …?
Ho perdonato almeno una volta?

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