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martedì 12 febbraio 2008

2a domenica di Quaresima A



2a domenica di Quaresima A – 17 feb. 2008

Salmo responsoriale (Sal 32)
Donaci, Signore, la tua grazia: in te speriamo.
Retta è la parola del Signore

e fedele ogni sua opera.
Egli ama il diritto e la giustizia,
della sua grazia è piena la terra.
Ecco, l'occhio del Signore veglia su chi lo teme,
su chi spera nella sua grazia,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L'anima nostra attende il Signore,
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Signore, sia su di noi la tua grazia,
perché in te speriamo

Vangelo: Mt 17,1-9
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli stava ancora parlando quando una nube luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo".
All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: "Alzatevi e non temete". Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.
E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".

Saper scoprire il vero volto dell’altro
Un uomo come tutti, cresciuto come i tanti bambini di Nazaret. A trent’anni, predicatore affascinante, capace di attirare le folle a Dio, senza ricorrere ai lunghi discorsi dei sacerdoti e dei maestri della legge; un uomo singolare sì, ma pur sempre uomo come gli altri. Abile nell’operare guarigioni, come molti del resto. Dove stava dunque la novità? Un giorno, condusse tre dei suoi in disparte e “fu trasfigurato davanti a loro”, ai loro occhi cambiò aspetto. I tre apostoli ne rimasero sconvolti, avrebbero voluto prolungare all’infinito quell’istante, benchè non capissero nulla di ciò che succedeva: era lui o non era lui? Un’atmosfera diversa li aveva avvolti, una specie di cielo in terra in cui percepivano addirittura una voce. Poi tutto ritornò come prima, il Maestro ridiventò ciò che era sempre stato, nient’altro che un uomo. Poco tempo dopo sarà proprio lo stesso uomo a morire, coperto di sangue, di fango, sfigurato … altro che trasfigurato! In seguito una donna, Maria Maddalena, lo incontrerà vivo senza poterlo riconoscere, tanto i suoi lineamenti avevano “cambiato aspetto”, mentre la sera di quello stesso giorno due discepoli cammineranno con lui senza identificarlo, quasi fosse divenuto uno sconosciuto. La trasfigurazione prefigura il mistero della risurrezione: è sempre lui, ma ha cambiato aspetto. O forse sono i nostri occhi ad essere incapaci di riconoscerlo perché accecati dall’esteriorità, dall’immediatezza più banale.
Un barbone è stato ignorato da tutti finchè qualcuno non ha scoperto, sotto quegli stracci, un noto chirurgo responsabile involontario della morte di una paziente. E quel volto, invece, chi nasconderà? Un’immagine unica e irripetibile di Dio, in attesa forse che uno sguardo attento e benevolo gliela riveli. Uno sguardo può cambiare anche la vita più disastrata. Una giovane chiudeva ogni sua giornata in discoteca, ubriacandosi per prostituirsi e ubriacandosi ancora per dimenticare la vergogna. Attraverso l’amicizia e la costante fiducia di un amico cominciò a credere nel suo reale valore. Più tardi fu proprio lei a scoprire la profondità di un cuore umano dietro il viso sfigurato di una ragazza che stava morendo di Aids e a rivelarle la sua bellezza.
Emmanuelle-Marie

La mèta
don Paolo Curtaz
Siamo partiti per un cammino di quaranta giorni di essenzialità.
Quaranta giorni alla sequela del Maestro Gesù che, nel deserto, sceglie un messianismo di basso profilo, di relazione, di profezia, rifuggendo la tentazione di una religiosità urlata e chiassosa. Quaranta giorni per convertirci alla gioia Pasquale, per lasciar crescere in noi la tenerezza del volto di Dio, per imparare o re-imparare cosa ci è davvero necessario. Digiuno dal caos e dalla rabbia, preghiera quotidiana basata sulla Parola ed elemosina per aprire il cuore (e il portafoglio) ai fratelli che camminano con noi e che vivono nella povertà, sono le tre strade che siamo invitati a precorrere per tornare all'essenziale.
Lungo come una Quaresima.
Nella simpatica e luminosa coscienza cristiana del passato, questa frase sintetizza bene l'atteggiamento di insofferenza verso questo tempo liturgico che ci appare come un'imposizione di (inutili) sacrifici e desueti fioretti per mortificare il corpo. Al contrario, la Quaresima autentica non mortifica, vivifica, sapendo bene che la vita interiore è lotta radicale contro l'aspetto tenebroso della nostra coscienza e che non basta rinunciare ai dolci per convertire il cuore.
Ben più radicale è l'atteggiamento che il Maestro oggi ci chiede, non subire una serie di privazioni che ci siamo imposti, ma scegliere di scegliere, spalancare il cuore all'amore di Dio, salire sul Tabor. "La bellezza salverà il mondo", l'affermazione, contenuta in uno dei romanzi dello scrittore russo Fedor Dostojewski, ci introduce benissimo a questa inusuale seconda domenica di Quaresima. Vangelo poco "mortificato" e penitenziale quello che ogni anno la liturgia (saggiamente) ci propone, quasi a soffocare sul nascere la triste consuetudine cattolica di essere tristi, specialmente quando si parla di Dio. Sbagliato: quando si parte nel deserto il cuore è allegro, perché alla fine saremo liberati da Faraone e dal suo esercito. Quando si sale sulla montagna, malgrado la fatica, ciò che ci spinge a salire è la gioia che proveremo nello spaziare con lo sguardo oltre le cime.
Tabor
Pietro e gli altri sono esterrefatti da quanto accade: Gesù maestro, profeta affascinante, si rivela per quello che è; ed è un'esperienza travolgente, di bellezza sconfinata. Quanto dobbiamo recuperare questa dimensione della bellezza nella nostra vita cristiana!
Gli apostoli, inaspettatamente, si ritrovano a contemplare Gesù di Nazareth che si rivela loro nella sua forma più autentica di Figlio di Dio. Sembra quasi un'anticipazione della Resurrezione che, forse, nell'intento del Signore, serviva a dare agli ignari apostoli quel po' di coraggio necessario per affrontare il grande scandalo della croce. Alla fine della trasfigurazione gli apostoli non vedono che "Gesù solo". Certo: il momento in cui raggiungiamo attraverso la preghiera e la contemplazione il volto di Gesù Risorto, vivo qui e adesso, e ci troviamo davvero scossi e scombussolati da una tale manifestazione, non vediamo che Gesù solo. Solo lui nelle nostre scelte, nei nostri fratelli, nelle nostre giornate.
Più volte lo abbiamo detto e ancora lo ripetiamo: la fede non è semplice adesione intellettuale, è coinvolgimento radicale, esperienza misteriosa di questo Dio che è altro da noi (non sentimento, non impressione, non scelta ma manifestazione).
Di questa esperienza i cristiani parlano, a questa esperienza vogliono condurre nel misterioso intreccio delle libertà (mia e di Dio) ogni fratello che si lascia avvicinare dal Vangelo. Nessuna apparizione, per carità (Dio vi preservi dalle apparizioni!) ma la semplice possibilità di fare esperienza interiore tangibile ed inequivocabile della bellezza di Dio.
Pietro Giacomo e Giovanni, da ora in avanti, avranno sempre e per sempre impresso quel volto trasfigurato, quel Dio ora chiaramente leggibile nella natura più profonda.
E' questa forte esperienza che manca, spesse volte alla nostra tiepida fede. Perciò molti vivono la fede come scelta necessaria, doverosa, utile anche se immensamente noiosa. Senza Tabor, il cristianesimo manca della sua dimensione essenziale: la bellezza di Dio.
Il Dio bellissimo
Sapete perché sono prete, amici? Perché non ho trovato nulla di più bello di Cristo.
Dovremo forse ricuperare questo aspetto nella nostra vita cristiana, ripartire dalla bellezza. Le nostre periferie sono orrende, orrende le città, orribili le finte-vacanze che ci vengono proposte in mezzo a finti paesaggi immacolati. Orribile il linguaggio e le persone che ci raggiungono dal mondo della politica e dello spettacolo. Abbiamo urgente bisogno di bellezza, della bellezza di Dio che è verità e bene e bontà. Non è forse questa la fragilità della nostra fede contemporanea? Non è forse questa la ragione di tanta tiepidezza della nostra comunità? Non abbiamo forse smarrito la bellezza nel raccontare la fede? Nel celebrare il Risorto? E' noioso credere. E' giusto – certo – ma immensamente noioso. Il Vangelo di oggi ci dice, al contrario, che credere può essere splendido. Varrebbe la pena di ricuperare il senso dello stupore e della bellezza, l'ascolto dell'interiorità che ci porta in alto, sul monte, a fissare lo sguardo su Cristo. Facciamo delle nostre messe dei luoghi di bellezza: il silenzio, il canto, la fede, il luogo in cui preghiamo, può riportare un briciolo di bellezza nella nostra quotidianità.
Ma questa inaudita e straordinaria esperienza, ci ammonisce Paolo scrivendo a Timoteo, non è merito nostro o nostra conquista: è dono totale e gratuito di Dio che ci "dona ogni cosa" nel suo figlio Gesù. Fidiamoci, partendo, come Abramo che segue l'invito di un Dio di cui non sa nulla. Partire significa credere in questo Dio di cui mi fido e che mi invita a compiere gesti che a volte non capisco in profondità, rinunciando ai miei progetti per accogliere il suo Progetto.
É il salto della fede, il fidarsi ciecamente di qualcuno su cui ho scommesso tutto. Abramo non capisce, stenta, tentenna, obbietta. Ma si fida.
E questo fidarsi, dura prova nella sua vita, lo fa morire ai suoi progetti per diventare, secondo la promessa, padre di una moltitudine: i credenti, appunto, che, dopo di lui, rifanno questo percorso di fiducia per arrivare fino a Dio. Tabor, quindi, come meta della nostra Quaresima. Per non vedere che "Gesù solo" occorre fidarsi come Abramo, rinunciando al proprio egoismo, salire (faticosamente!) dietro al Maestro per riconoscerlo come Messia. Questa mortificazione-vivificazione ha in gioco la presenza stessa di Dio!
Ripartiamo dalla bellezza, amici.

La nostra domanda: “Il vero volto dell’altro: riesco a vedere oltre l’apparenza?”

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