Che cosa dobbiamo fare?
(Lc 3, 10-18)
“Che cosa dobbiamo fare per essere salvati?” domandava la gente a Giovanni. Che fare per essere al sicuro, amati, onnipotenti, immortali? Un gesto magico, come immergersi nel Giordano? Entrare a far parte di una sètta? Delegare al gruppo, al movimento, alla comunità la propria libertà? Le risposte di Giovanni rimandano invece alle responsabilità più quotidiane: condividere con chi non ha, non esigere più del dovuto, non usare la forza per prevaricare.
“Non temere, non lasciarti cadere le braccia” (Sof 3,16), perché la salvezza è vicina, è presente nella normalità. Condividere è instaurare un rapporto di pace, perché è radicare la propria identità nella fratellanza. Se mi riconosco figlio di Dio, figlio del Bene, scopro che l’altro, anche il più disprezzato, mi è affidato come gli sono affidato dal Padre, da cui entrambi riceviamo l’esistenza. “Come non invitare la domenica a pranzo il marocchino che vedo ogni giorno aspettare chi comprerà i suoi articoli e con il quale ho preso l’abitudine di scambiare due parole? E’ solo!”, mi diceva una madre di famiglia.
“Non lasciarti prendere dall’inquietudine” (Fil 4,6), non essere in pensiero per la tua vita. A pubblicani, ladri e corrotti – oggi a tutti noi, tentati di fare il nostro comodo a spese degli altri – Giovanni chiede di fare bene il proprio lavoro, senza esigere più del giusto, senza instaurare un rapporto di sopruso, generatore di paura e di violenza. Ai soldati, rappresentanti della legge – oggi a chi ha un ruolo di potere o di controllo – è raccomandato di usare il loro potere per mantenere la giustizia, non per schiacciare il debole. A tutti è detto che il Signore è presente, che “è un salvatore potente, capace di rinnovarci con il suo amore” (Sof 3,17). Perché preoccuparsi? “In ogni necessità esponiamo a Dio le nostre richieste e la sua pace custodirà la nostra affettività, i nostri pensieri in Cristo” (Fil 4,7), che ci restituisce la nostra dignità, la nostra identità di figli creati a somiglianza del Padre, sorgente dell’Amore.
Giovanni applicava a Gesù le solite immagini di un Dio giustiziere, che incuteva paura. Non sapeva che il Messia era alla ricerca della pecora perduta, che era venuto a salvare ciò che agli occhi del mondo non vale nulla. Cristo viene oggi per immergerci nel suo Spirito di perdono, nel fuoco dell’Amore che il Padre riversa sull’umanità per farci entrare nel suo progetto di felicità per tutti. Vogliamo la pace? Condividiamo!
“Non temere, non lasciarti cadere le braccia” (Sof 3,16), perché la salvezza è vicina, è presente nella normalità. Condividere è instaurare un rapporto di pace, perché è radicare la propria identità nella fratellanza. Se mi riconosco figlio di Dio, figlio del Bene, scopro che l’altro, anche il più disprezzato, mi è affidato come gli sono affidato dal Padre, da cui entrambi riceviamo l’esistenza. “Come non invitare la domenica a pranzo il marocchino che vedo ogni giorno aspettare chi comprerà i suoi articoli e con il quale ho preso l’abitudine di scambiare due parole? E’ solo!”, mi diceva una madre di famiglia.
“Non lasciarti prendere dall’inquietudine” (Fil 4,6), non essere in pensiero per la tua vita. A pubblicani, ladri e corrotti – oggi a tutti noi, tentati di fare il nostro comodo a spese degli altri – Giovanni chiede di fare bene il proprio lavoro, senza esigere più del giusto, senza instaurare un rapporto di sopruso, generatore di paura e di violenza. Ai soldati, rappresentanti della legge – oggi a chi ha un ruolo di potere o di controllo – è raccomandato di usare il loro potere per mantenere la giustizia, non per schiacciare il debole. A tutti è detto che il Signore è presente, che “è un salvatore potente, capace di rinnovarci con il suo amore” (Sof 3,17). Perché preoccuparsi? “In ogni necessità esponiamo a Dio le nostre richieste e la sua pace custodirà la nostra affettività, i nostri pensieri in Cristo” (Fil 4,7), che ci restituisce la nostra dignità, la nostra identità di figli creati a somiglianza del Padre, sorgente dell’Amore.
Giovanni applicava a Gesù le solite immagini di un Dio giustiziere, che incuteva paura. Non sapeva che il Messia era alla ricerca della pecora perduta, che era venuto a salvare ciò che agli occhi del mondo non vale nulla. Cristo viene oggi per immergerci nel suo Spirito di perdono, nel fuoco dell’Amore che il Padre riversa sull’umanità per farci entrare nel suo progetto di felicità per tutti. Vogliamo la pace? Condividiamo!
Em.Marie
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