Dal libro della Sapienza 11,22-12,2

Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore.

martedì 11 marzo 2008

16 marzo 2008

Domenica delle Palme - anno A
Vangelo: Mt 26,14- 27,66 – nella forma breve: Mt 27,11-54
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo

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Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Tu lo dici". E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: "Non senti quante cose attestano contro di te?". Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore. Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: "Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?". Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua". Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: "Chi dei due volete che vi rilasci?". Quelli risposero: "Barabba!". Disse loro Pilato: "Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?". Tutti gli risposero: "Sia crocifisso!". Ed egli aggiunse: "Ma che male ha fatto?". Essi allora urlarono: "Sia crocifisso!".
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla dicendo: "Non sono responsabile di questo sangue; vedetevela voi!". E tutto il popolo rispose: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli". Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: "Salve, re dei Giudei!". E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo. Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. Giunti a un luogo detto Golgota, che significa luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. E sedutisi, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: "Questi è Gesù, il re dei Giudei".
Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: "Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!". Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: "Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!". Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.
Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "Elì, Elì, lemà sabactani?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama Elia". E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: "Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!". E Gesù, emesso un alto grido, spirò.
Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!".
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Il potere o l’amore?
Emmanuelle Marie

Gesù entra in Gerusalemme seduto su un asino, simbolo di mitezza. Con un asino, si cammina al passo della gente semplice, non si domina la situazione dall’alto. Il popolo invece desidera l’intronizzazione del suo Messia, figlio di Davide, e lo tratta da re. E’ di nuovo la terza tentazione attraversata dal Signore nel deserto, che lo ha accompagnato per tutta la vita: “Gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: Tutte queste cose io ti darò se, prostrandoti, mi adorerai”.
La nostra ricerca di potere cerca di colmare il baratro di una solitudine senza amore, obbligando l’altro a piegare la testa. L’alternativa infatti è sempre tra amore e paura: “Se non mi vuoi bene, ho paura di te, ma se ti domino, sono io a farmi temere da te”. Gesù invece, figlio di colui che è Amore, non è mai solo, perché è sempre immerso nella tenerezza del Padre che lo spinge verso gli uomini. E’ venuto per servirli, per placare la loro sete, per rassicurarli di fronte alla morte. Non ha bisogno di usurpare il potere di questo mondo. Tuttavia la gente cerca uno che incarni il successo umano, immagine di un potere che permetta di soggiogare l’altro senza fare lo sforzo di aprirsi a lui. Gesù sembra accondiscendere a quel capriccio come se usasse le stesse armi dell’idolo per sconfiggerlo. Appare come un seduttore delle masse. Eppure i giorni seguenti dimostreranno che il giudizio di questo mondo non si gioca sulla seduzione bensì sull’amore, rivelato non in questa festa popolare ma ai piedi della croce. Là resteranno solo alcune donne e un uomo, rimarrà chi ha saputo amare senza frode, chi si apre all’amato senza difese.
Con questo piccolo trionfo dell’ingresso a Gerusalemme Gesù tenta, per un’ultima volta, dopo i numerosi miracoli che avevano suscitato tanto entusiasmo, di persuaderci che ogni potere è caricatura dell’amore. Di quell’amore che squarcia il cuore con una ferita capace di accogliere senza nessuna difesa il bisogno dell’altro. Sotto la croce, Maddalena capisce ciò che il grande Girolamo non riuscirà a cogliere. Pensava di aver dato tutto a Cristo ma il Signore gli disse: “No, non mi hai offerto tutto, non mi hai consegnato i tuoi peccati”. Chi sta ai piedi del Crocifisso invece non ha più bisogno di sedurre Dio con meriti che nutrono solo l’amor proprio, ma sa che l’Amore ci stringe a sé con tutte le nostre rughe, le nostre sporcizie, la nostra nudità.

Il Dio donato
don Paolo Curtaz

Con oggi concludiamo il nostro percorso di quaresima, di deserto, di essenzialità, per entrare nella più importante settimana dell'anno, sconosciuta ai più, gravida di ogni conversione. In questi ultimi sette giorni percorreremo, ora dopo ora, gli ultimi momenti della vita di Gesù. Saremo invitati a partecipare giovedì, venerdì e sabato al solenne Triduo Pasquale, momento in cui la Chiesa quasi si mette da parte, indicando con un dito l'immenso amore di Dio ad ogni uomo assetato di verità e di bene.
Perché Gesù è morto?
Conosco molte persone devote a Gesù in croce e la meditazione della passione, nei secoli, ha suscitato grandi conversioni, profonde riflessioni: nella croce troviamo la rivelazione definitiva ed inequivocabile del vero volto di Dio. Il cuore della riflessione è: perché mai Gesù è morto? Qual è la ragione ultima della morte di Gesù?
I nostri peccati? Una congiura politica? Una tragica incomprensione? Intorno a questa domanda ruota tutta la nostra fede.
Gesù viene a svelare il vero volto di Dio, il volto del Padre. Questo evento è l'ultimo tassello di un'entusiasmante e originale storia d'amore fra Dio e il suo popolo, storia vissuta in prima persona da Israele, tra alti e bassi. Un Dio che si racconta, che entra in relazione, che ama, che sostituisce quell'immagine innata ed oscura della divinità che portiamo nell'inconscio. Questa relazione vive momenti esaltanti (da Abramo, attraverso Mosè e Davide, fino ai Profeti), e momenti deprimenti, caratterizzati dalla fatica dell'uomo a restare fedele all'immagine che Dio svela di sé attraverso i Profeti.
Stanco, Dio diventa uomo. Gesù è il vero volto di Dio, il raccontatore del Padre. Lo racconta con la sua vita, la sua serena parola, le sue vibranti provocazioni. Gesù sceglie (ricordate?) all'inizio della sua missione, nel deserto di Giuda, quale Messia diventare.
Il demonio, con arguto buon senso, lo invita ad usare la forza, lo stupore, il miracolo, l'alleanza col potere, per essere efficace (cfr. Mt 4,1 ss). Ha ragione, in fondo: se Gesù avesse galleggiato nel vuoto sorretto da angeli non sarebbe forse stato riconosciuto come Messia?
Invece no, Gesù sceglie di essere un Messia di basso profilo, un Dio sottotono, mediocre. Non userà la forza, né compirà prodigi eclatanti, non userà le armi della seduzione, rifiuterà i trucchi del politico.
Perché Dio vuole essere amato per ciò che è, perché "è", e non per ciò che dà.
Tutto di Dio, Gesù difende il Padre contro la visione gretta e approssimativa che ne abbiamo. Ma non bastano i miracoli (ambigui), né la tenerezza (fragile), né la predicazione (controversa) degli anni di vita pubblica. Gesù arriva alla fine dei suoi intensi tre anni con un pugno di mosche in mano: l'umanità non ha capito. I suoi discepoli, preziosi e amati, sono fermi alla contraddizione del potere e della gloria e inchiodati al proprio (evidente) limite; i capi religiosi ne avvertono la forza destabilizzante; la folla segue il vento della moda. Gesù non ha alcuna possibilità di farcela, la sua scommessa è persa. Non è servito, non è bastato, non è sufficiente tutto l'amore che ha donato.
Forse aveva ragione l'avversario, là nel deserto: troppo ingenuo questo modo di operare. Davvero Dio pensava di trattare con gli uomini alla pari? Di aprire il loro cuore col sorriso? Di presentarsi vulnerabile? La scelta da fare, ormai, è una sola: andarsene, rinunciare, gettare la spugna. Occuparsi – chissà – di un altro mondo. Oppure...
La scelta
Oppure lasciarsi travolgere, sparire, morire. Lasciare che le tenebre vincano, lasciare che le cose prendano la loro piega, osare. Osare fino a morire appeso ad una croce, fino all'eccesso. Altro è dire: "Dio vi ama!", altro morire. Altro dire: "Il Padre vi perdona!", altro pendere, nudo, da un palo. Una cosa parlare, un'altra morire. Urlando. Una cosa predicare, un'altra vivere fino in fondo ciò che si è predicato.
Capiranno, gli uomini? O Dio sarà uno dei tanti sconfitti della storia, dimenticati? La posta in gioco è immensa: l'esistenza stessa di Dio. Quanti crocefissi sono morti nella storia antica? Cinquecentomila? Un milione? Di quanti di loro ricordiamo il nome e la vita? Di nessuno.
Il rischio che Dio corre in quell'ultimo gesto è quello di scomparire per sempre. L'uomo avrebbe continuato ad immaginarsi Dio con un volto identico ai propri desideri e alle proprie paure. Gesù accetta, rischia, si dona. Forse sarà tutto inutile, come insinua l'avversario nell'orto degli ulivi. Forse. L'agonia di Gesù, nell'orto degli ulivi, l'agonia che lo fa sudare sangue, è tutta lì, in quella scelta. Non nel dolore che Gesù deve affrontare, non nel senso di abbandono da parte dei suoi, no.
Francamente: conosco persone che hanno sofferto molto più e molto più a lungo di Gesù. Io credo che il dolore, inaudito, che Gesù prova, nasca dal dubbio dell'inutilità della sua scelta definitiva. L'avversario, che torna ora che è giunta l'ora, cerca di scoraggiarlo: "è tutto inutile". Inutile: non vedi che ti stanno venendo a prendere per arrestarti? Inutile: i tuoi stanno dormendo, non hanno capito la gravità della situazione. Inutile, l'uomo non cambierà mai.
Gesù accetta, corre il rischio, si dona. Morirà.
Lì, appeso alla croce, Dio è evidente, inequivocabile, non vi è alcuna possibilità di ambiguità. Il cuore della passione di Cristo è l'amore, non la violenza, con buona pace di Mel Gibson e del suo considerevole tentativo di rappresentare la Passione. Gesù muore affidando al Padre il proprio cuore, e donando a noi lo Spirito. Dio è evidente: osteso, mostrato, nudo. Dio è così, amici: arreso. A noi, ora, la prossima mossa.
Il Dio mostrato
Alla fine della sua versione del racconto della Passione di Gesù, Matteo, buon ebreo, ci racconta che il velo del Tempio si squarciò in due, dall'alto verso il basso. Il velo, un grande pezzo di stoffa, impediva l'accesso al Santo dei Santi di Gerusalemme, il luogo dov'era conservata, in passato, l'Arca dell'Alleanza: lì, nel Santo dei Santi, abitava il Dio d'Israele, nascosto allo sguardo degli uomini da questo immenso panno. Il velo, ora, è squarciato: Dio è visibile, si è reso visibile, ha tolto il velo, si è svelato.
Un invito sommesso, a chi legge queste pagine: siateci.
Nella povertà delle nostre assemblee, ritagliando spazio e tempo ai nostri mille pressanti impegni, siateci. Giovedì sera alla Messa che ci ricorda l'istituzione dell'Eucarestia, venerdì nella grande e sofferta celebrazione della Croce, Sabato nella lunga e luminosa notte della Resurrezione. Tre giorni che ci accompagneranno, spero, a ridire la nostra fede, a riscoprire il dono, a cambiare la vita.
Abbiamo il coraggio, in questi giorni, di rimetterci in gioco, di identificarci.