Dal libro della Sapienza 11,22-12,2

Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore.

giovedì 31 gennaio 2008


Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itacadevi augurarti che la strada sia lungafertile in avventure e in esperienze.I Lestrigoni e i Ciclopi
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o la furia di Nettuno non temere,non sarà questo il genere d’incontrise il pensiero resta alto e un sentimentofermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
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né nell’irato Nettuno incapperaise non li porti dentro se l’anima non te li mette contro.Devi augurarti che la strada sia lunga.Che i mattini d’estate siano tanti
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quando nei porti - finalmente, e con gioia - toccherai terra tu per la prima volta:negli empori fenici indugia e acquistamadreperle coralli ebano e ambretutta merce fina, anche profumi
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penetranti d’ogni sorta, più profumiinebrianti che puoi,va in molte città egizieimpara una quantità di cose dai dotti.Sempre devi avere in mente Itaca -
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raggiungerla sia il pensiero costante.Soprattutto, non affrettare il viaggio;fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchiometta piede sull’isola, tu, ricco
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dei tesori accumulati per stradasenza aspettarti ricchezze da Itaca.Itaca ti ha dato il bel viaggiosenza di lei mai ti saresti messoin viaggio: che cos’altro ti aspetti?
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E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addossogià tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.


C. Kavafis, Cinquantacinque poesie, a cura di M. Dalmati e N. Risi, G. Einaudi Editore, Torino, 1968

sabato 26 gennaio 2008








27 Gennaio 2008 - III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)




mentre camminava vide due fratelli che gettavano la rete... Mt 4,18
(I testi riportati sono tratti dal Nuovo Lezionario)




Matteo 4,12-23 12



Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13 lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14 perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:15 «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!16 Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».17 Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone,chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare;erano infatti pescatori. 19 E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20 Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21 Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22 Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.23 Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.
1) Avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato Gesù…: Giovanni è imprigionato (lett. consegnato); la consegna di Giovanni indica la fine del tempo di preparazione del Regno di Dio e Gesù entra manifestamente nella Galilea delle genti: la Galilea designa il territorio di confine situato nella parte Nord della terra d’Israele; regione posta sotto la giurisdizione di Erode Antipa era stata in epoca assira, il luogo di insediamento di varie popolazioni straniere, diventando così il crogiolo, il punto di fusione di nazioni diverse e nemiche, figura di un mondo culturalmente impuro e peccatore. Proprio all’interno di esso Gesù inizia la sua predicazione, riprendendo l’annuncio che era stato di Giovanni Battista, nell’invito alla conversione per l’imminenza del regno dei cieli.2) Affinché fosse adempiuta la parola detta: è Gesù l’adempimento delle Scritture; è Lui la luce del mondo preannunziata dai Profeti, in Lui si rivela il mistero di Israele, popolo che Dio si è scelto perché le genti immerse nelle tenebre del peccato e dell’ignoranza fossero illuminate dalla luce della conoscenza divina. (cfr. Lc 1,78-79; 2,30-32; Gv 12,46).3) Mentre camminava lungo il mare di Galilea…: il passaggio di Gesù porta con sé la pienezza della verità e della grazia (cfr. Gv 1,17) che si riversano nel cuore di coloro che si aprono ad accogliere la predicazione della parola attraverso la quale gli uomini possono essere tutti salvati, secondo la volontà del Padre. Per questo Gesù chiama a sé quelli che sceglie per farne pescatori di uomini, suoi collaboratori per la corsa di quell’unica parola portatrice di speranza e di salvezza. (cfr. Mt 28, 18-19; Rm 10,14-15; 1Co 1,21).4) Ed essi subito…lo seguirono: alla chiamata di Dio risponde la fede: per essa si è disposti a lasciare, nella prontezza dell’obbedienza, ogni altra sicurezza e ogni altro legame per entrare nella sequela di Gesù, nella comunione di quella nuova famiglia dei figli di Dio che costituisce la Chiesa.5) insegnando… predicando… curando: Gesù percorre le strade della Galilea delle genti portando all’umanità fragile e peccatrice la parola della sua potenza che tutto sostiene, illumina e vivifica. (cfr. Eb 1,1-5). Lo Spirito santo infatti è il “lume celeste” che accende la luce interiore necessaria per capire la bontà del progetto di Dio in ogni evento e nella storia (cfr. Sap 18,1-4).

Isaìa 8,23b-9,3823b






In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.91 Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.2 Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda.3 Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino,come nel giorno di Mádian.
1) In passato (ebraico: come in un primo tempo) il Signore umiliò (Il vocabolo ebraico indica “leggerezza” e, in senso figurato, qualcosa che vale poco) la terra di Zabulon e di Neftali,…in futuro (ebr.: nel tempo posteriore o anche ultimo) renderà gloriosa (lett.: ha glorificato: la radice ebraica della parola gloria ha il significato di “pesantezza”) la via del mare, oltre il Giordano: sono le regioni della parte settentrionale di Israele abitate dalle tribù di Zabulon, Neftali e Manasse. Furono le prime ad essere occupate dagli Assiri ed i loro abitanti furono deportati (2Re 15,29). Questa profezia getta una luce pasquale su tutta la storia d’Israele: la rovina del popolo, dovuta al suo peccato e realizzatasi secondo il disegno di Dio, prepara la glorificazione finale, che viene annunciata dal profeta come già compiuta (il verbo “glorificare” è nel testo espresso al passato): dalla morte scaturisce la vita: Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore (Is 54,7).2) Galilea delle genti: Isaia, profetizzando l’intervento di Dio che risolleva le sorti della Galilea, preannunzia di più l’avvento dei tempi messianici e la salvezza finale portata anche ai popoli pagani (Galilea delle genti). In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria. L’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore con gli Assiri. In quei giorni Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra (Is 19,23-24). Il vangelo di Matteo di questa Domenica (Mt 4,13) vede nello stabilirsi di Gesù in Galilea il compiersi di questa profezia di Isaia.3) Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto (anche qui compare il “passato profetico”) una grande luce: le tenebre non sono tenebre qualsiasi, ma sono quelle primordiali, segno del male e del peccato vinti da Dio: Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre (Gen 1,3). Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano la le tenebre in luce e la luce in tenebre (Is 5,20). Il Signore porrà la sua dimora di luce nella nuova Gerusalemme messianica per essere Lui stesso la guida di tutti i popoli (Is 48,6 e Is 60). La luce del Signore si rivela nel dono della Sua parola e dell’amore fra gli uomini: Se offrirai il pane all’affamato… allora brillerà fra le tenebre la tua luce (Is 58,10). Lampada per i miei passi la tua Parola, luce sul mio cammino (Sal 119,105).4) Hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come… quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva… come ai tempi di Madian: è la gioia pasquale di chi passa dall’oppressione alla libertà, in virtù della vittoria del Signore sul male, di cui è reso partecipe in modo sovrabbondante. Le molteplici espressioni con cui il testo profetico esprime questa gioia servono ad esprimerne la straordinaria pienezza e la gratuità, in quanto puro dono di Dio. Così dice il Signore: le ricchezze d’Egitto e le merci d’Etiopia… passeranno a te (Is 45,14). Mentre quelli [Gedeone ed i compagni] suonavano le trecento trombe, il Signore fece volgere la spada di ciascuno contro il suo compagno nell’accampamento [di Madian] (Gdc 7,22).

1Corìnzi 1,10-13.1710






Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.11 Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. 12 Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo».13 È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?17 Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
1) Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensare e di sentire: l’espressione tradotta con perfetta unione tradisce forse un’influenza subita dalla Vulgata di S. Girolamo che propone: sitis autem perfécti in eòdem sensu et in eàdem senténtia; nel testo greco il verbo utilizzato esprime la tendenza alla perfezione, cioè a un cammino e a un desiderio di mancanza di divisioni nella comunità. Quanto al sentire dell’ultima parte del versetto non si fa riferimento a stati emotivi dovuti al sentimento umano, bensì il termine andrebbe tradotto con parere (pronunciamento, parlare con cognizione di causa), cioè l’espressione verbale di un pensiero ragionato. Quindi riassumendo: stesso pensiero, stesso parere, mancanza di divisioni, tutto ciò significa tendere alla perfezione.2) Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordi: il termine indica contesa, gara, rivalità, cioè il frutto della divisione. Nel mondo romano tutto ciò appariva positivo e da ricercare, in quanto metteva in luce la forza del singolo, per questo esisteva Eris, la dea della contesa.3) Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo”: il problema nasce quindi dal fatto che i corinzi attribuiscono maggiore o minore valore al battesimo a seconda della persona che lo amministra; sottolineamo l’espressione ciascuno di voi dice, nel senso che tutta la comunità è coinvolta in questa diatriba, nessuno tace. Sorge un problema riguardo all’ultima espressione “E io di Cristo”: è sulla bocca di una parte dei corinzi oppure è la risposta finale di Paolo alle divisioni nella comunità? Si può forse pensare che se fosse vera la prima ipotesi l’apostolo avrebbe probabilmente citato ad esempio questi cristiani che avevano capito che il battesimo è nel nome di Cristo, quindi (poiché Paolo dettava le sue lettere) può trattarsi della sua obiezione spontanea alle affermazioni dei corinzi.4) Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunziare il Vangelo; non con sapienza di parole, perché non venga resa vana la croce di Cristo: per Paolo sono chiari due primati: a) il primato del sacramento sulla persona che lo amministra; b) il primato del Vangelo sul sacramento, che naturalmente ha un senso solo nella fede nella Parola annunciata. L’ultima espressione non venga resa vana la croce di Cristo andrebbe meglio tradotta: non sia svuotata (Vulgata: evacuétur) la croce di Cristo, assegnando quindi alla Passione del Cristo la chiave interpretativa di tutte le Scritture.

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE




La sapienza ebraico-cristiana ci consegna in questa domenica alcune linee direttrici per una scuola della pace della quale ha urgente bisogno non solo la società civile ma la stessa comunità credente. Il primo fondamentale atteggiamento sapienziale è quello della "buona notizia": ogni parola, proposta, intervento, critica, opposizione... deve essere in ogni modo "notizia buona", deve cioè contenere in sé una prospettiva positiva, liberante, illuminante e luminosa. Questo esige che si tenga conto del rapporto tra parola e storia. Una parola estrapolata dalla storia è nel rischio di essere magari in se stessa vera, ma addirittura sbagliata perchè non immersa nella storia con l'intenzione fondamentale di essere efficace nella direzione della speranza. Il secondo dato prezioso è quello dell'universalità. Ogni parola è buona se è portatrice di bene non solo ad una parte o magari buona per alcuni e cattiva per altri. Per essere parola della pace, deve poter essere donata a tutti, evidentemente in modi e tempi corrispondenti all'opportunità di ciascuno. Il terzo elemento riguarda la fisionomia profonda di ogni comunità che voglia porsi come portatrice di un messaggio, di una proposta, di un progetto. Questo esige che tale gruppo si caratterizzi per una sua profonda comunione interna: ogni voce ha il suo irrinunciabile valore, ma deve essere "voce della stessa parola": per questo, ad esempio, nell'ambito della nostra società civile, è tanto importante la nostra Costituzione nei suoi princìpi fondamentali: essi infatti contengono i contenuti laici condivisi dal nostro popolo, princìpi che ogni forma di governo deve a priori riconoscere. Solo una sicurissima totale unanimità potrebbe consentire qualche cambiamento di essi.Un quarto capitolo di vera scuola della pace evidenzia nelle Scritture di questa domenica il contenuto fondamentale che ogni parola, proposta o progetto devono contenere: la liberazione e il vero progresso. Liberazione dalle grandi prigioni dell'inimicizia, della solitudine, dell'ignoranza, della povertà... Progresso come incessante nuova luce portata dal lavoro, dallo studio e da tutti gli abiti virtuosi di ogni persona, dal più piccolo al più grande. Questo esige quella "povertà di spirito" che è consapevolezza dei limiti di ogni situazione e quindi disponibilità ad un incessante movimento di ricerca e di acquisizione di elementi nuovi e buoni, dove la custodia dei dati fondamentali eviti il rischio di un conservatorismo sterile e sia la forza e la fonte di una incessante dinamica di vero movimento. Infine, e ci fermiamo a questi cinque elementi fondanti, i "pescatori di uomini" sono l'immagine suggestiva del fine ultimo e del segreto intendimento di ogni opera: avere come fine il bene della persona umana, di ogni persona come dell'intera comunità umana, oggi non più restringibile ad esempio ad una realtà nazionale, in un mondo che si è fatto sempre più piccolo, sino a potersi definire un'unica casa. Pescando pesci, costruendo case, formando scolari, ma anche sopportando la fatica , mettendo figli al mondo, affrontando con sapiente mitezza la malattia... sempre il fine è il bene dell'umanità, quella delle nostre relazioni più preziose, e quella che fa dell'umanità stessa un'unica famiglia.

venerdì 18 gennaio 2008


20 gennaio 2008
II Domenica del tempo ordinario A

Prima lettura

Dal libro del profeta Isaia (Is 49,3.5-6)

Il Signore mi ha detto: "Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria". Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: "È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra".

Salmo responsoriale (Salmo 40)
Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto
né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: "Ecco, io vengo".
"Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo".
Ho annunziato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.

Vangelo: Gv 1,29-34
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: "Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me". Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele". Giovanni testimoniò dicendo: "Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". E io ho visto e testimoniato che questi è il Figlio di Dio".

Colui che toglie il peccato
Emmanuelle-Marie
"Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo", ripetiamo con le parole di Giovanni Battista ad ogni liturgia eucaristica, pur reiterando quotidianamente la triste esperienza delle nostre colpe. Quale peccato ci viene dunque tolto? In che modo Cristo toglie il peccato del mondo? Certo non con effetti speciali che si sostituirebbero alla nostra libertà, ma consegnandoci il suo Spirito.
Il Battista afferma di aver visto scendere lo Spirito sul Signore, come una colomba. Ed è proprio una colomba che, riportando un ramo d’ulivo, segna la fine del diluvio, causato dalla violenza del peccato. Colomba e ulivo sono due immagini bibliche simili: la prima ricorda lo Spirito che, alla creazione, aleggiava sulle acque per farne uscire la vita, mentre l’ulivo fornisce l’olio, simbolo dello Spirito, che si versava sull’eletto per consacrarlo al Signore. Il battesimo del Signore sintetizza queste realtà in modo stupendo: Gesù inizia una nuova creazione ed è l’Unto del Signore che viene a ristabilire la pace tra Dio e l’umanità. Viene a immergere l’umanità nello Spirito, che è insieme creatore di vita nuova e Paraclito – cioè difensore del peccatore, perdono del Padre – perché possiamo diventare a nostra volta capaci di perdono.
Perdonare, infatti, è togliere veramente il peccato, è scegliere di prendere su di sé le conseguenze del male commesso da un altro, è pagare i debiti altrui, accettando magari di attraversare l’angoscia che l’altro rifiutava di vivere.
Quando Gesù va a farsi battezzare da Giovanni, non fa notizia, è uno tra i tanti che scende nelle acque del Giordano. Come sempre permette all’ultimo di riconoscersi in lui e di trovare nel suo agire una strada che possa condurlo alla liberazione. Gesù è l’agnello, mite, umile, pronto a patire ciò che noi abbiamo rifiutato di attraversare. Egli toglie il peccato del mondo perché accoglie ogni ingiustizia come espressione del dolore di chi la infligge, accettando di prendere su di sé questa sofferenza. Gesù insegna che non si può amare senza sporcarsi le mani con il male dell’altro, senza condividere il disagio che ha provocato l’azione negativa. Questa è la salvezza portata dall’amore, la via nuova aperta da Cristo e realmente capace di cambiare tutto.

Dio ci viene incontro
don Paolo Curtaz
Gesù è nato in noi, piccolo neonato da far crescere ed accudire, come Maria e Giuseppe lo abbiamo accolto, come i pastori, emarginati del tempo, abbiamo udito la notizia che egli è nato per noi, come i Magi, atei cercatori di verità, ci siamo messi in cammino. Ora, finita la breve e intensa parentesi di Natale, vogliamo far crescere quel Battesimo che abbiamo ricevuto e che ci ha permesso di essere abitati dal Mistero di Dio. Prima di riprendere la riflessione del pubblicano Levi, ci concediamo una parentesi teologica tratta da Giovanni. E' l'occasione per meditare sulla splendida figura del Battista, che ora si mette da parte, non prima di avere dato un'ultima bruciante testimonianza sullo sposo che ha atteso e riconosciuto. Il Messia venuto Giovanni Battista vede Gesù "venire verso di lui" (1,29): è Dio che prende l'iniziativa, è lui che viene incontro, è lui che muove i primi passi, sempre. Eppure il Battista stenta a ri-conoscerlo. Sono parenti, lui e Gesù, e quindi Giovanni lo conosce, ma lo vede con occhi diversi, consueti, abituali, il segno del Battesimo lo spinge a capire, lo obbliga a riconoscere il figlio bene-amato, nel quale il Padre si compiace; anzi: questo riconoscimento permane, come abbiamo visto nella terza di Avvento, quando il Battista in carcere è invitato a non scoraggiarsi, a non aspettare un altro Messia. Il problema del Battista è il nostro: guardare senza vedere, sapere già, essere abituati. Giovanni deve aguzzare lo sguardo interiore per riconoscere nella banalità del quotidiano la presenza del Messia. É questa la radice del problema, di ogni problema: la dimenticanza, l'abitudine, la compagnia di Cristo che diventa sbadiglio e vaga rassicurazione. Non pensate allo scorso anno, a due anni fa, non pensate ad un momento passato: oggi Cristo ti viene incontro, con discrezione (al solito), con semplicità e verità. Abitudinari della fede, discepoli della prima ora, state desti, per favore, siate attenti, Dio vi scampi dal rischio del professionismo nella fede. Questo Dio che passa va riconosciuto ed accolto, ciò che ci viene chiesto è, semplicemente, di accoglierlo. Chi è Gesù? Tre titoli vengono attribuiti a Gesù, tre sintesi di un cammino semplice e strepitoso fatto da chi scrive, Giovanni l'evangelista, discepolo prima del Battista e poi del Nazareno, e dalla sua comunità. Gesù è l'agnello di Dio che porta il peso del peccato (1,29), colui su cui rimane lo Spirito e battezza in Spirito (1,33), il Figlio stesso di Dio (1,34). Sono titoli teologici che possiamo scoprire nella nostra ricerca di Dio. Gesù è l'agnello che porta il peccato, come quello usato nello Yom Kippur, giorno di purificazione del popolo che scarica le sue colpe sul capro immolato in sacrificio per tutti, immagine prefigurata in Isaia del mite agnello condotto al macello. Rispetto alla tragedia dell'umanità, all'inquietante dilemma del male e della violenza, Dio si schiera, si esprime, si coinvolge: egli è colui che si lascia uccidere, che assume su di sé sofferenza e tenebra, che la redime, portandola. Giovanni resterà turbato dal vedere il Messia mischiato tra la folla di penitenti. Dio condivide e assume su di sé tutta l'oscurità e la fragilità del mondo, si sporca le mani, non guarda dall'alto, redime dal basso. Il dolore del mondo è assunto, salvato, redento. Non è vero che vogliamo capire la ragione del dolore, ciò che vogliamo è non soffrire oppure, ed è ciò che Dio fa accadere, redimere questo dolore, dargli un peso, un'utilità. Amico che soffri, amico travolto dalla tenebra, la tua tenebra è portata, accolta, salvata. Egli è colui che dona lo Spirito in abbondanza; lo Spirito: dono del Risorto, colui che permette al discepolo di accorgersi di Dio, che lo mette in sintonia. Fede che non è sforzo ma scoperta, non conquista ma abbandono, lasciando che lo Spirito che dà vita ad ogni cosa ci apra – finalmente! – lo sguardo dentro. L'incontro con Dio non migliora né peggiora la mia vita, non mi mette al riparo da fatica e contraddizione, gli eventi tristi e allegri si alternano come nella vita di chiunque. Ma la presenza dello Spirito mi permette di vedere in maniera diversa, di cogliere il disegno, di percepire la tessitura nascosta. Il Signore dona lo Spirito senza lesinare, permette, ai discepoli che restano attenti e aperti alla Parola, di leggere la propria e l'altrui storia con uno sguardo nuovo. Egli è, infine, il "figlio di Dio"; non un grande uomo, non un profeta, non un uomo di tenerezza e compassione, ma la presenza stessa di Dio. Non c'è mediazione su questo, non sofismi e ragionamenti: la comunità primitiva crede che Gesù di Nazareth, potente in parole ed opere, non sia solo ispirato da Dio, ma parli con le parole stesse di Dio poiché in lui abita la presenza stessa del Verbo di Dio. Dio è accessibile, amici, visibile, chiaro, manifesto, incontrabile, evidente; si racconta, si spiega, si dice, si rivela. Lo accoglieremo? O continueremo ad accarezzare e celebrare un Dio più approssimativo e simile alle nostre segrete immagini di lui? Testimoni Questo è ciò in cui crede la comunità di Giovanni. Così come Isaia sogna la comunità di Israele non più chiusa in se stessa intenta a proteggersi, ma aperta all'annuncio del vero volto di Dio alle nazioni straniere, così come Paolo augura ai cristiani di Corinto, città delirante e violenta, di essere santi perché santificati da Cristo, anche noi siamo chiamati a dare testimonianza al Figlio di Dio. Non più stanche comunità che stentano ad assolvere i compiti istituzionali, ma gruppi di cristiani riempiti dalla luce, testimoni credibili come il Battista e il suo discepolo Giovanni. Bel programmino, no?

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Il ministero di Giovanni ha le sue radici nell’AT, ma permane nel NT perché è il ministero profetico essenziale della preparazione all’incontro col Signore e pertanto non può venir meno. Finché un uomo deve incontrare Gesù portando con sé tutto ciò che precede il Cristo, Giovanni Battista è essenziale. Tutto ciò che precede il Cristo: culture, religioni, ricerche spirituali dell’umanità, ha un grande valore ed è in intima connessione con la Parola di Dio...; ma nella misura in cui si avvicina alla Parola di Dio, se manca del ministero di Giovanni, diventa il più grande nemico per Cristo. (...) C’è un legame tra il ministero di Giovanni e il ministero di Israele nella storia, anche se il ministero di Giovanni trascende Israele, perché Israele è restato muto e sordo di fronte all’evento di Cristo, mentre Giovanni l’ha preparato, accolto e riconosciuto. Nella misura in cui Israele resta in attesa e continua la sua attesa in un mondo in cui regnano ancora le guerre, il male, la malattia, la morte e il peccato, esso attesta alla chiesa che il Regno non è ancora venuto
(E. Bianchi, Magnificat, Benedictus, Nunc dimittis, 68-9).

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Gesù si fa battezzare come qualsiasi uomo sulla Terra non per lavare il proprio peccato, ma per manifestarsi come il Cristo, cioè il compimento del mandato profetico di Giovanni il Battista. Qui comincia a cambiare radicalmente anche la sua vita. La sensazione è quella di essere spronati a riconoscere il Signore in mezzo a noi, a sentirlo presente, a sentirne la vicinanza e la chiamata. Nella scelta di Dio di incarnarsi c’è una promessa di fedeltà, c’è il riconoscimento della qualità umana come strumento per realizzare la salvezza e il disegno di Dio. Per fare questo "è troppo poco che tu sia mio servo". Dopo la risurrezione Gesù dirà a Pietro: "Pasci le mie pecorelle", a testimoniare che la vita di Gesù è il tratto cruciale di un processo di salvezza che viene da lontano (cfr. Isaia) e che deve proseguire, in un lavoro instancabile e insostituibile che spetta alla volontà degli uomini. Il "compimento" dato da Gesù non è la fine della strada degli uomini. Is 49,6 ci fa pensare che il ruolo di "luce delle nazioni" potrebbe essere quello della Chiesa, attraverso l’apertura alle novità, la propria continua rilettura in un’ottica di rinnovamento della propria "luminosità", ovvero della capacità di indicare una strada di salvezza alle nazioni; per questo ci pare che la missione di riconciliazione sia sempre vera, ma prenda temi e strumenti diversi nel corso della storia. A volte abbiamo più l’impressione che si punti alla conservazione invece che alla conversione, ma al di là del seguito di fedeli c’è un problema di vocazione della Chiesa stessa. Come riconciliare i popoli relativamente al valore dell’uomo e della vita civile, ai modelli di società, ai modelli di economia?
(Gruppo OPG).

Le nostre domande:
Perdonare: cosa intendo io per …?
Ho perdonato almeno una volta?

sabato 12 gennaio 2008

Siamo diventati razzisti?

di Carlo Maria Martini

in “Il Sole-24Ore” dell’11 novembre 2007

Ho sempre pensato come italiano di appartenere a uno dei popoli meno razzisti della terra e questo per motivi storici, culturali,religiosi, eccetera. Questo non vuol dire che quando accade un episodio gravissimo di violenza, soprattutto da parte di immigrati irregolari, non si alzi un coro di voci per deprecare quanto è avvenuto e per invocare più rigorose misure di sicurezza. Come dice il Salmo, siamo ben convinti che nei momenti di transizione, quando non sono tenuti saldamente in mano, «emergono i peggiori tra gli uomini» (Sal 12,9). Ma nell'insieme abbiamo una visione degli altri popoli che non avrei esitato a qualificare come non razzista. Ora tuttavia la mia sicurezza si è incrinata leggendo le interessanti interviste di Rula Jebreal pubblicate sotto il titolo significativo «Divieto di soggiorno». Ecco quanto afferma per esempio un immigrato che pure si può considerare un «caso riuscito» di integrazione, essendo oggi impegnato in politica e con un insegnamento universitario: «Gli italiani provano indifferenza verso tutto ciò che è diverso, hanno una sorta di pigrizia mentale, una mancanza di volontà di comprendere l'immaginario altrui». Come può questo giudizio andare d'accordo con la scontata affermazione di un altro immigrato riuscito: «Gli italiani sono brava gente. I media, la televisione, continuano a parlare di conflitto tra stranieri e italiani, ma la realtà di tutti i giorni è diversa. Quando hanno a che fare con te direttamente, nel rapporto faccia a faccia, gli italiani si comportano bene, come con un loro pari»? Probabilmente c'è un po' di verità in entrambi i giudizi. Ma tutto ciò mette in luce la gravità e l'urgenza del problema affrontato nel libro di Rula Jebreal, cioè quello dell'integrazione ben regolata di milioni di immigrati, oggi e tanto più nel futuro. Possiamo infatti parlare di un problema minaccioso che si sta affacciando ai confini dell'Europa e rischia di causare una forte divisione, una spaccatura di animi e di intenti. Non v'è luogo, per quanto piccolo e nascosto, che potrà venir risparmiato da questa prova. Essa consisterà nella nostra capacità di vivere insieme come diversi, non solo di lingua, di cultura, di abitudini, di religione, ma anche differenti nelle sensibilità inconsce, nelle simpatie o antipatie, nel modo di concepire la giornata e la vita. Qualcosa di simile si è sempre avuto nella storia dell'umanità, ma lo stare gomito a gomito con un numero crescente di "diversi" sta diventando un fatto che sempre più condizionerà la nostra vita quotidiana e il nostro lavoro. Ad esso si può reagire in vari modi: o deprecando il fatto che non sia ormai possibile fare a meno di chi viene a turbare la nostra quiete e preoccupandosi di stabilirgli delle zone in cui egli ci è utile o addirittura necessario e altre in cui vogliamo essere lasciati in pace; o demonizzando la sua cultura e le sue tradizioni, curando di lasciar entrare tra noi il meno possibile della identità di queste persone. In ogni caso anche un atteggiamento che possa essere definito "buonista", ma nasca da uno spirito seccato e un po' malmostoso, tende a chiudere queste persone in ghetti che a lungo andare diventano pericolosi focolai di malumore e di ribellione. Si prospetta così il fantasma di un "clash of civilations" (scontro di civiltà) che alcuni ritengono far parte di un inevitabile futuro del mondo europeo. Eppure sono convinto che non solo è possibile e doveroso fare di tutto per evitare questo "scontro di civiltà" , ma che occorre dimostrare che noi cresciamo e maturiamo proprio nel "confronto col diverso". Ciò avviene quando esso è visto non soltanto come accettazione necessaria di un fatto inevitabile e neppure come semplice tolleranza e rispetto per le abitudini altrui, purché non siano offensive del bene comune, e neppure come volontà di assimilazione o di conversione. C'è al di sotto di tutto un dovere reciproco di vivificarci e stimolarci a vicenda vivendo quegli atteggiamenti di rispetto, di gratuità, di non preoccupazione del proprio tornaconto o della propria fama, di accoglienza e perdono, che caratterizzano ad esempio il discorso della montagna di Gesù (Matteo capitoli 5-7) e che sono capiti da tutti e utili a tutti. C'è poi un discorso ancora preliminare a questo, e il libro di Rula Jebreal ci aiuta a entrare nella dimensione giusta: quella di non giudicare e di non condannare subito, ma anzitutto di ascoltare con simpatia e cercare di comprendere con oggettività l'esperienza e la storia dell'altro.
Questo libro presenta una dozzina di interviste a persone straniere venute in Italia per i più diversi motivi. Alcune sono riuscite a inserirsi con soddisfazione nel nostro tessuto sociale, altre invece hanno fallito. Particolarmente commovente è la storia della piccola prostituta Olga, che non vede l'ora di ritornare a casa dopo aver sfruttato la situazione e essersi lasciata sfruttare fino alla perdita di ogni senso della dignità umana. Rula Jebreal scrive come una vera giornalista, che sa raccontare e coinvolgere ma senza inserire le proprie emozioni o forzando il discorso. Ci insegna che occorre soprattutto cercare di capire, ascoltare, comprendere le motivazioni e le situazioni: solo dopo è possibile vedere il da farsi. Ci auguriamo di essere in molti a capire questa lezione di giornalismo e di vita, così che il peso di questa inevitabile transizione verso una nuova società, quasi un nuovo "meticciato", diventi non solo più sopportabile per tutti, ma sia fonte di nuove scoperte sulla ricchezza della nostra umanità.